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giovedì 3 dicembre 2009

78 Giri



78 Giri. Questo mio testo nasce da un’idea venutami nel leggere il libro-intervista di Ulderico Munzi. Egli, come inviato del Corriere, nel raccogliere l’appassionante testimonianza delle ausiliarie della Repubblica Sociale, delinea il groviglio di speranze, illusioni e passioni che animarono le scelte di queste giovanissime donne, “dimenticate” dalla storia ufficiale. Da qui il desiderio di scriver dei versi, che potessero rappresentare, più che il loro lato patriottico e storico, essere prima di tutto donna con propri sogni, desideri, e con la consapevolezza che la giovane età si scontrava con la pazzia di una guerra civile.
Quando è giunto il momento di tradurre tutto ciò sulla carta, l’originaria idea si è completamente svestita, indossando degli abiti diversi, cosicché i personaggi principali del libro sono diventati tre, ognuno con un ruolo che è, in alcuni casi di scelta, in altri di necessità; hanno tutti però un comune denominatore: il desiderio mai mancato di sognare.
Il titolo “78 Giri”, che corrisponde al supporto musicale per il grammofono, mi è sembrato appropriato, per dare una collocazione temporale al testo, in una sorta di invito ad un ripensamento spazio-tempo che è proprio di questi dischi (3 minuti per lato) dove è quasi immediato l’alzarsi per cambiare lato, e a sostituire la puntina dopo due-quattro ascolti, per evitare che deteriorandosi finisca per rovinare i solchi del disco.
Sono nati, quindi, tre soggetti femminili, tre nomi (Eleonora - Elettra - Agnese) accompagnati nel loro percorso esistenziale da due elementi maschili ben delineabili: il poeta che si ritrova in veri e propri sguardi, a volte filosofici, del presente, ed il pescatore, primo personaggio del libro, che assume un compito quasi carontiano tra l’oggi ed il passato (il 1944 anno della Repubblica Sociale di Salò). Eleonora, un’attrice di origine piemontese, ormai non più giovane, vede la sua vita sconvolta dall’avvento del regime fascista e dalla successiva guerra mondiale, che la porterà ad abbandonare i suoi sogni, che aveva fin da bambina, costringendola ad allontanarsi da Roma e a diventare la “compagna”, a turno, di gerarchi fascisti, fino al suo declino finale, in una Salò dal sapore pasoliniano. Qui, la troviamo stretta in un voluttuoso tango, ad una donna misteriosa, (la padrona di casa) che, nell’anticamera dell’obliquità, mostra un’immagine voyeuristica e narcisistica alla cinepresa in versi del poeta.
Elettra è una volontaria ventenne dell’aviazione della RSI in distanza al castello di Brescia con il compito di segnalare alla contraerea nazista gli aerei bombardieri anglo-americani; questa donna, proveniente da un paesino del Lazio, si ritrova catapultata, per una scelta coraggiosa ed incosciente allo stesso tempo, in un mondo così distante dalla sua Bracciano versiera e sognante, che solo il tenersi aggrappata ai ricordi famigliari e alla sua infanzia, le permette di mantenere un po’ di quella leggerezza, che è lo “status vivendi” di una ragazza della sua età. In questo malinconico vivere tra nostalgia e prava realtà, incontra, per la prima volta, l’amore che, nell’occasione, indossa la divisa di un caporale tedesco. Tutto, però, agli occhi degli amanti, assume un sapore ed un colore diverso, tanto da vivere, angosciosamente, la consapevolezza della tragicità della guerra, che si erge come un vero e proprio filo spinatoa contrastare la felicità del loro amore.
Agnese, è un’operaia di una fabbrica tessile del bresciano, ed è aggrappata al suo amore di madre, un figlio di cui non ha più notizie da mesi, unitosi sulle montagne ai “ribelli” (così i fascisti ed i tedeschi chiamavano i partigiani), che è forse l’unica luce che illumina una vita tragicamente segnata dal fuoco nemico di un plotone di esecuzione, quando, ad un muro della città di Brescia, rimase appesa la carne bruciata del padre di suo figlio. Questo dolore, si mescola ad altro dolore, ad altra sofferenza, diventando, per assurdo, quasi una stordente abitudine. La parvenza di vita donatale dal lavoro in fabbrica diventa l’elemento centrale del suo quotidiano, tale da essere fonte di un’alterezza che, a sua volta, diviene discriminazione verso una giovane operaia sedicenne, annebbiata dal fumo acre del cannone e dalla scelta “sbagliata e disillusa” di un amore partito, verso quel fumo, con la divisa della RSI. Donna, Agnese, che, insieme a tante altre sue compagne e compagni, si inserisce in quella fitta rete organizzata all’interno e al di fuori della fabbrica, di aiuto e sostegno ai partigiani, che aveva come scopo quello di sottrarre le matasse di lana, che venivano poi portate a casa, lavorate dalle donne più anziane, e successivamente mandate, in forma di capo confezionato, ai partigiani.
E’ il personaggio conclusivo del libro, un emblema di tutte quelle donne “dimenticate” dalla storia ufficiale che giorno dopo giorno, hanno continuato a vivere, a lottare, lavorando più del sopportabile, per dare sostentamento ai figli, agli anziani, a chi che rimaneva, perché la vita doveva continuare, nonostante la guerra.
Il libro si conclude, prima dell’ultimo “sguardo” del poeta, con una seconda parte dedicata al pescatore di Salò, quasi un guazzo dal sapore pavesiano, tanto da diventare un vero e proprio atto di riguardo a Pavese, figura precettiva nell’immaginifico del poeta.
L’atto conclusivo è l’angoscioso pensiero del poeta difronte ad una vita, “non vita” dopo l’accanimento della pazzia deontologica (seguo, ansante,/il girare smarrito dei tuoi occhi/) che diventa una vera e propria riflessione filosofica, dove dalla considerazione leopardiana ( Zibaldone di pensieri) che la conoscenza della nullità delle cose conduce alla pazzia (e guardo alla pazzia deontologica/come un ragno che cuce un riposo di sogni/), il poeta si fa essere piccolo. Inoltre, acquistando il necessario distacco che porta alla “responsabilità” jonasiana, dove Dio rinuncia all’onnipotenza a favore dell’agire libero e responsabile dell’uomo (e l’omni, qui, può trovare riposo/all’ombrato della bianca fresia). Dai simbolismi (la fresia indica il fiore del mistero, dell’arcano) si arriva all’elemento centrale di tutto il romanzo, il lago, che qui, “nell’ultimo sguardo”, assume un significato taletiano nel suo elemento, l’acqua, dalla quale provengono e nella quale le cose ritornano e per il poeta è il nepente necessario a mantenere il cammino nel proprio immaginario (sono silenzio, /nell’archè dei miei occhi,/affonda dolce,/la pendola sul lago,/il bianco remo:/è tempo della nota di riposo/).
Gli ultimi attimi nel libro, sono dedicati ai versi di una canzone del cantautore genovese Ivano Fossati, dal titolo Invisibile, e che nelle suo insieme di parole e musica, rappresenta la consapevolezza che è nell’invisibilità delle piccole cose che l’uomo scopre la propria totale visibilità.
L’autore

Aneliti di sole



La silloge poetica dal titolo "Il pianoforte" è compresa nell'antologia poetica del Gruppo poeti di Trento "Elianto 2001". Quest'ultimo, presideduto da Walter Vettori, nasce nel maggio 2001 ed ha tra i punti fondamentali del proprio statuto quello dello studio e della ricerca a livello emozionale e di percezione personale di ogni forma di espressione artistica. È convinzione comune degli elementi del gruppo che non bastano le buone sensazioni ed i buoni propositi per comporre versi, ma che solo un ritorno alle fonti genuine e ad uno studio costante e severo possa dare a ciò che si scrive la giusta dignità poetica.Tutto questo non è una dichiarazione d'amore al verso regolare, ma la consapevolezza dell'importanza che riveste il suo studio; sono molti i punti in comune che il gruppo ha con il "Manifesto - Programma" del Movimento Giovani Poeti d'Azione, tra i quali il voler recuperare il terreno perduto dalla poesia nei confronti della musica e della narrativa pretendendo, da parte del mondo editoriale e dai media, un trattamento paritario con la poesia, spesso, quest'ultima, rilegata ad un ruolo di "Cenerentola".Non deve esserci amore per il sapere in quanto tale, ma come mezzo per l'accrescimento della propria arte: scolarità ed accademia, spesso, fanno un funerale della poesia allontanando definitivamente i giovani dalla "Regina" dell'arte. È intendimento del Gruppo, in perfetta simbiosi con il Movimento Giovani Poeti d'Azione, che la scrittura poetica chiusa nel suo specifico, aristocratica, iniziatica, incomunicabile, si condanna al silenzio, all'autoesclusione; ecco allora che farla uscire dai soliti salotti letterari per accompagnarla in un leggero volo fra la gente comune, nelle piazze, nei giardini, con la sua capacità di sintesi concettuale, può provocare un'onda benefica nel placido lago della Società dei consumi, dove spesso ci si addome in un veleggiare svuotato di ogni senso.